AD UN PASSO DALLA TERZA GUERRA MONDIALE- 26-09-1983. L'UOMO CHE LA FERMO'

Aperto da robertoit9acj, 17 Settembre 2017, 22:55:47

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robertoit9acj


Morto Stanislav Petrov, l'eroe dimenticato che salvò il mondo dall'apocalisse nucleare
Aveva 78 anni. Durante la Guerra Fredda, il 26 settembre 1983, non si fidò del sistema di difesa sovietico per cui missili atomici lanciati dagli Usa erano in arrivo: «Ero un analista, ero certo che si trattasse di un errore». Non fu premiato ma richiamato

L'uomo che ha salvato il mondo è morto come è vissuto: nell'anonimato, senza riconoscimenti o quasi, in un misero appartamento di una cittadina satellite di Mosca. Per mesi, anzi, nessuno ne ha saputo nulla e la notizia è trapelata solo ora perché qualcuno l'ha cercato nell'anniversario di quel 26 settembre 1983. Fu allora che il tenente colonnello Stanislav Petrov (morto a 78 anni) decise che i segnali che arrivavano dai radar intercettori erano sbagliati, nonostante i tecnici giurassero il contrario.

Non era vero che gli Stati Uniti avevano lanciato decine di missili termonucleari contro l'Unione Sovietica; lui non seguì la procedura, non avvertì il Cremlino che avrebbe avuto meno di quindici minuti per decidere di reagire, facendo partire bombe atomiche dirette verso l'America e l'Europa. In quei pochi minuti che seguirono l'allarme dato a mezzanotte e quindici minuti, Petrov salvò il pianeta dall'olocausto nucleare.

I suoi superiori, quando poi si chiarì che si era trattato di un errore del sistema, non lo premiarono. Il colonnello, anzi, ricevette un richiamo per non aver seguito la procedura standard e la sua storia è rimasta segreta fino al crollo dell'Unione Sovietica. Ma anche dopo, in Russia non si è quasi mai parlato di Petrov. Il colonnello ha ricevuto qualche riconoscimento all'estero, ma nulla in patria.

Un anno fa lo siamo andati a trovare a Fryasino, la cittadina dove viveva a una ventina di chilometri dalla capitale. L'articolo uscito sul Corriere suscitò parecchio interesse in Italia, tanto che un gruppo di volontari, l'R 14 di Milano, decise di assegnargli un premio e un contributo economico che gli è stato utile negli ultimi mesi di vita.

Petrov abitava in uno dei tipici palazzi di cemento armato costruito in epoca kruscioviana per dare una casa, anche se di scarsa qualità, a tutti i sovietici. Una persona schiva, modesta, un uomo minuto e già segnato dalla malattia. Di poche parole. Quando lo incontrammo, si schermì subito «Noo!, che ho fatto? Niente di speciale, solamente il mio lavoro». Per aggiungere subito dopo: «Ero l'uomo giusto al posto giusto al momento giusto».

In realtà è stata una fortuna per questo pianeta che Petrov non fosse un militare qualunque, uno dei tanti addetti alla sorveglianza a distanza dei silos americani nei quali sono custoditi i missili intercontinentali. Lui era un analista che quella notte si trovò quasi casualmente a fare un turno di guardia ai calcolatori, sostituendo uno dei militari professionisti. Un altro avrebbe semplicemente controllato i segnali in arrivo (cosa che lui fece) e si sarebbe limitato ad applicare il protocollo, informando i suoi superiori: «Missili americani in arrivo. Colpiranno il territorio dell'Unione Sovietica fra 25/30 minuti». L'analista reagì invece diversamente, con grande professionalità.

Petrov non credeva che gli Stati Uniti potessero veramente attaccare. «E se pure l'avessero fatto, non avrebbero lanciato solo un grappolo di missili», ci disse un anno fa. Si convinse che fosse «un'avaria del sistema». Così non disse ai superiori che era in corso un vero attacco. E salvò il pianeta. La notte in questione era quella del 26 settembre 1983 alle 00,15. Venticinque giorni prima, il 1° settembre, un caccia sovietico aveva abbattuto un jumbo jet coreano con 269 persone a bordo che era entrato nello spazio aereo dell'Urss.

Erano gli anni della gerontocrazia al comando, della paranoia e della profondissima crisi. Il gensek (segretario generale del partito) Jurij Andropov era permanentemente in ospedale. In quell'occasione, il 1° settembre, a controllare i radar non c'era un «Petrov», ma un militare disciplinato e ottuso che riferì ai suoi superiori: un apparecchio, probabilmente un aereo spia degli Stati Uniti, aveva violato il territorio della madrepatria. I generali e i politici applicarono le regole. In pochi minuti il maggiore Gennadij Osipovich che aveva affiancato il jet civile con il suo Sukhoi, ricevette l'ordine di abbattere l'intruso. «Non dissi alla base che era un Boeing, perché nessuno me lo aveva chiesto», si è giustificato in seguito.

Petrov no. Petrov non era ottuso. I tempi per rispondere ad un attacco nucleare sono strettissimi. I missili impiegano meno di mezz'ora per raggiungere la Russia dagli Usa. Alcuni minuti servono per controllare che tutti i parametri siano giusti. Poi la comunicazione telefonica a Mosca: l'informazione arriva ai vertici. Si sveglia il capo supremo (allora era il gensek, oggi sarebbe il presidente Putin) e a quel punto bisogna decidere subito. Militari, ex agenti del KGB (come Andropov, ma forse anche come Putin) non sono abituati a mettere in discussione le procedure.

In quelle settimane del 1983 la tensione era altissima, con Reagan che aveva bollato l'Urss come «Impero del male» appena sei mesi prima e Andropov che si diceva convinto della volontà di aggressione americana. A un attacco si sarebbe risposto quasi certamente con una massiccia rappresaglia: decine di missili sovietici lanciati verso gli Stati Uniti. E Washington avrebbe certamente replicato con il lancio (questa volta vero) delle sue testate nucleari. Per il globo sarebbe stata la fine. Ma Petrov non era ottuso. Al suo posto di controllo a Serpukhov-15, vicino Mosca, arrivò il segnale sempre atteso e tanto temuto: «Si accese una luce rossa, segno che un missile era partito. Tutti si girarono verso di me, aspettando un ordine. Io ero come paralizzato, dapprincipio. Ci mettemmo subito a controllare l'operatività del sistema, ventinove livelli in tutto», ci raccontò. Pochissimi minuti e si accese un'altra luce, poi un'altra. «Nessun dubbio, il sistema diceva che erano in corso lanci multipli dalla stessa base», racconta. «Una nostra comunicazione avrebbe dato ai vertici del paese al massimo 12 minuti. Poi sarebbe stato troppo tardi». Petrov era sicuro che la segnalazione fosse sbagliata, nonostante tutto. «Ero un analista, ero certo che si trattasse di un errore, me lo diceva la mia intuizione» Così comunicò che c'era stato un malfunzionamento del sistema. "I quindici minuti di attesa furono lunghissimi. E se eravamo noi a sbagliare? Ma nessun missile colpì l'Unione Sovietica».
In seguito si chiarì che il sistema era stato ingannato da riflessi di luce sulle nuvole. Non venne premiato: se lui aveva ragione, qualcun altro aveva sbagliato a progettare il sistema, magari qualche alto papavero. Così tutto venne insabbiato e finì tra le storie "soverscenno secretno", top secret. "Alla fine, quando mi congedai, non mi concessero nemmeno la solita promozione a colonnello", ha raccontato. A 76 anni, nel 2016, faceva la vita di sempre nel palazzo di Fryasino. Poi la salute è peggiorata. Il figlio Dmitrij lo ha ricoverato più volte in ospedale. Il 19 maggio di quest'anno è venuto a mancare. Ma


pesciolino73


TravisBarker1982

Non conoscevo questa storia, ne avevo solo sentito parlare, ma nulla di più. Citando le sue parole:"l'uomo giusto, al posto giusto e nel momento giusto".
Grazie per aver pubblicato questo articolo!

robertoit9acj

Da ricordare anche il sistema di difesa diga 3. Un sistema radar in onde corte che doveva controllare l'eventuale lancio di missili balistici ovvi dagli Usa. In quegli anni al potere vi era Ronald Reagan che definì l"Urss la madre di tutti i mali. Poi grazie ai 3 trattati start e con l"ascesa al potere di Gorbaciov le cose cambieranno. Riduzione a poco a poco dell'arsenale tattico di difesa (cioè io ho la bomba atomica sei avvertito). Le 2 potenze avevano circa 18 mila bombe di varia Potenza.

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TravisBarker1982

Citazione di: roberto- i -t-9-a-c-j il 17 Settembre 2017, 23:57:58
Da ricordare anche il sistema di difesa diga 3.

Intendi quel muro di antenne che c'è vicino a Chernobyl? Non ho mai capito a cosa servisse  :-D

robertoit9acj

Quella muro di antenne a 13 km da Chernobyl era un sistema radar oth che irradiano sulle frequenze  e sfruttando la riflessione delle hf potevano controllare a distanza un eventuale lancio di missilii  Icbm da parte americana.
Il sistema usava un tx distante circa 60 km e il ricevitore (presso la base segreta (fino al 1991) Chernobyl 2.

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robertoit9acj

Nato negli anni 60 prima dei satelliti spia messi in orbita dalle 2 superpotenze nucleari.

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robertoit9acj

Qualcuno ipotizza che l"incidente alla centrale di Chernobyl sia stato un complotto del governo Urss per coprire un fiasco totale del sistema di difesa diga 3. Il costo degli impianti era a quei tempi di circa 7 milioni di rubli (un sacco di soldi per l"asfittica e settorializzAta economia sovietica).

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